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  • La redazione

Lavoro o trappola?

In una società come quella italiana, che ha come fondamento il lavoro, come previsto dal primo articolo della Costituzione, l’avanzamento delle posizioni lavorative e quindi della qualità della vita dipendono dal tempo speso per lavorare. Chi ambisce a tale obiettivo, però, rischia di lavorare in eccesso e quindi di subire gravi danni fisici e psicologici.

Inoltre, non a tutti i datori di lavoro interessa la salute e il benessere dei propri lavoratori: esistono infatti ambienti lavorativi con scarse condizioni igieniche o di sicurezza così come ci sono anche aziende che non rispettano i diritti dei lavoratori (e gli incidenti sul lavoro che vengono pubblicati spesso sui giornali ne sono la prova). Fortunatamente, la Costituzione regola tali aspetti in modo tale da permettere al nostro sistema di migliorare progressivamente. In passato sono comunque esistite realtà come quella rappresentata da Verga nel racconto Rosso Malpelo dove, per esempio, adulti e bambini potevano perdere la vita lavorando in miniera. 

Inoltre, nella nostra società, lavorare vuol dire prevalentemente spendere il proprio tempo e le proprie energie per raggiungere l’obiettivo di qualcun altro. Per esempio, un cameriere serve i clienti perché quello è il compito che gli è stato assegnato dal datore di lavoro. Il proprietario del ristorante ha bisogno del cameriere per poter continuare la propria attività. Il dipendente, quindi, usa tutto il suo tempo per raggiungere un obiettivo che non gli appartiene, quando potrebbe invece utilizzare il tempo per realizzare i propri sogni. 

Possiamo collegare questa situazione alla teoria della “carriera del topo” elaborata da R. Kiyosaki, noto autore di libri di finanza: secondo lui, l’uomo è intrappolato in una società che lo educa e gli presenta un futuro nel quale dovrà lavorare per qualcun altro. In cambio, il lavoro gli offrirà un compenso, cioè il denaro, il quale però è una risorsa che verrà presto consumata (per beni necessari e non necessari), lasciando il lavoratore con il bisogno di dedicare più tempo al proprio impiego per poter guadagnare più denaro, entrando così in un circolo vizioso che lo coinvolge per tutta la vita.  

Ci sono comunque persone che non dipendono da nessuno, ma si tratta della minoranza dei casi. Un esempio è Andy Warhol, artista fondatore della “Pop art”. Egli è riuscito a unire la sua passione per la fotografia al lavoro. Ha fatto dell’arte un prodotto di largo consumo e della sua passione una forma di auto-sostentamento.  

In conclusione, il lavoro è un nostro diritto e dovere che però può diventare esasperante e di conseguenza può danneggiare le persone, fisicamente e psicologicamente.  

La situazione ideale per vivere il lavoro in modo sano e sicuro è quella in cui si lavora sulle proprie passioni in modo tale da riuscire a vivere di esse; in alternativa, è bene equilibrare il proprio tempo, dedicandolo non solo al lavoro, ma anche ai propri hobby. 


Valentina Maiolo, 5CT 

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