Analizzare l’aspetto normativo della disabilità richiederebbe molto tempo e spazio, perché, dal 1948 ad oggi, in questa materia sono stati diversi i provvedimenti (sia interni, che internazionali) ed altrettanto numerose le modifiche.
Le prime norme da prendere in considerazione sono contenute negli articoli 2 e 3 della Costituzione. Chi ha composto quelle disposizioni aveva visto e vissuto il dramma della dittatura, durante la quale lo Stato aveva soppresso, con regolarissime leggi, diritti e libertà fondamentali dei cittadini. Così fu prima cura dei Padri Costituenti sancire l’impegno delle Istituzioni nel riconoscere e tutelare la vita, la salute, la dignità, l’integrità psico-fisica delle persone, e poi obbligare lo Stato (in tutte le sue articolazioni e strutture) ad intervenire per permettere a chi si trova in condizioni di disagio di avere le più ampie possibilità di autonomia e realizzazione personale.
La Legge che a lungo è stata il testo di riferimento nel nostro Paese è la numero 104 del 1992, che ha dato la definizione di persona handicappata e stabilito una lunga serie di diritti e strumenti ad essa spettanti.
Questo provvedimento è attualmente in vigore, ma significative riforme ne hanno cambiato il testo in alcune parti. Innanzitutto (e su questo vorrei soffermarmi) la nozione di disabilità.
Superato il concetto di handicap, il Decreto legislativo 62/2024 (in attuazione della Legge delega n. 227/2021) ci presenta questa definizione: “duratura compromissione fisica, mentale, intellettiva, del neurosviluppo o sensoriale che, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione nei diversi contesti di vita su base di uguaglianza con gli altri”. La disabilità è una condizione. Premessa fondamentale. Una condizione che può derivare da cause diverse: malattia, incidente, vecchiaia… E che può riguardare chiunque, a qualsiasi età. Pertanto, è meglio riflettere su cosa si può fare per superare le criticità dovute ad essa, piuttosto che ragionare sulle persone disabili e sui loro limiti. Che, fra l’altro, non dimentichiamolo, sono persone; non sono le loro disabilità.
Le difficoltà e le sofferenze che possono derivare dalla disabilità non sono assolute, ma dipendono dal contesto, dalla situazione, dalle interazioni che la persona ha. Un ambiente strutturato con i dovuti accorgimenti, una società sensibile ed accogliente, risorse adeguate messe a disposizione dallo Stato o dagli Enti pubblici sicuramente attenuano le percezioni e gli impatti negativi che una menomazione comporta.
Ricordo un esercizio che mi fecero fare durante il corso di formazione per il Servizio Civile che ho svolto, dopo la laurea, con l’Associazione del Comuni della Marca Trevigiana: avendo scelto di operare nell’ambito della disabilità, insieme agli altri giovani volontari sono stata tenuta, per una mattina, con gli occhi bendati prima e con le gambe legate alla sedia poi. Strategia veramente efficace! Si può capire davvero cosa significa avere un deficit se lo si prova. Nel nostro ambiente scolastico essere inclusivi significa pensare che ognuno ha una dignità ed un ruolo importante: non c’è colpa nell’essere disabile, ma c’è colpa nel non essere inclusivi. Imparare a dare un senso ed il giusto peso a situazioni difficili come la malattia o l’invalidità è passaggio fondamentale per capire cosa significa, semplicemente, essere una persona.
Chiara Chies
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