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  • La redazione

QUALE UMANITA’ NELLA PENA?

Riflessioni aperte dal dibattito con ex detenuti, detenuti e volontari della Casa di reclusione “Due Palazzi” di Padova

Istituto “Da Collo” – Conegliano

Lunedì 31 gennaio 2023

“Il fine delle pene non è di tormentare ed affliggere un essere sensibile.

Il fine non è altro che d'impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali”.

Già nel ’700 il giurista Cesare Beccaria aveva delineato quale doveva essere lo scopo della pena: non creare ulteriore tormento o afflizione per il colpevole, bensì rimuovere gli ostacoli che potrebbero indurre lui e altri a commettere reati.

“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

A partire da questo articolo (art.27, comma III) della Costituzione vorremmo introdurre una nostra riflessione. Lunedì 31 gennaio abbiamo potuto confrontarci, su questo tema, con alcune persone che vivono direttamente l’esperienza della reclusione. Collegati on line a causa delle difficoltà pratiche, tutti noi studenti delle classi quinte del Liceo linguistico e dell’Istituto tecnico economico siamo riusciti ad instaurare un dialogo molto arricchente con Ornella Favero (presidente dell’associazione di volontariato “Granello di Senape”), Bruno (ex detenuto), Carlo (detenuto), Suela (figlia di un detenuto) . A seguito dell’incontro abbiamo realizzato che, in realtà, la situazione in Italia non è come la Costituzione la tratteggia: Carlo ci ha spiegato che le celle sono sovraffollate e che la maggior parte di coloro che escono dal carcere commettono nuovamente dei reati. Da ciò capiamo che il sistema, che dovrebbe far sì che i condannati non commettano altri crimini, li avvicina solamente di più al mondo criminale, dato che possono confrontarsi esclusivamente con altri detenuti. A prova di ciò, Carlo ha affermato che, su 10, di media 7 detenuti continuano a commettere reati quando escono dal carcere.

Un altro aspetto emerso nelle testimonianze e nell’articolo di Sofia Belardinelli, una studentessa dell’Università di Padova, è che all’interno della maggior parte delle carceri i detenuti non hanno la possibilità di mantenersi socialmente attivi. Infatti, dalle nostre ricerche è emerso che, effettivamente, all’interno delle strutture i detenuti non hanno molte opportunità di migliorare se stessi, nonostante il fine della pena debba essere quello di rieducare la persona. Per esempio, riportandoci la sua esperienza, Carlo ci ha detto che in Italia soltanto in pochissime carceri è possibile studiare. Per quanto riguarda la sua esperienza, soltanto quando fu trasferito da Genova a Firenze ebbe l’opportunità di intraprendere un corso di studi. In Italia, il sistema dà quest’opportunità, ma soltanto pochissime strutture la permettono.

In conclusione, è necessario ammettere che il sistema carcerario italiano è assai incoerente per quanto riguarda lo scopo che si pone e ciò che invece applica. Il problema è che più il detenuto non si sente aiutato o, addirittura, si sente oppresso, più tende a peggiorare, proprio perché non percepisce un’opportunità di migliorarsi in quanto persona inserita in un ambiente sociale, il quale, invece di aiutarlo, lo ignora.

Perciò vorremmo darvi uno spunto di riflessione tramite questa domanda: come può l’essere inattivi portare a qualcosa?


I ragazzi della VB Liceo, in particolare: Chiara Antiga, Maria Anna Lovisotto, Matilde Menegon, Leonardo Nalini, Irene Berto, Alice Brugnera, Marco Susic, Chiara Gattel e Dino Mengh.

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