Il fischio del treno nel silenzio della notte, per il personaggio pirandelliano Belluca, fa sfociare l’immaginazione, risvegliata da un fatto del tutto banale che cambierà improvvisamente ogni sua prospettiva. Il caso: l’evento minimo che manda in crisi un’intera esistenza, una completa sproporzionalità tra la banalità di un fatto accaduto e le immediate conseguenze. Tutto questo l’ho vissuto sulla mia pelle.
Sin da piccola la diligenza è stata la protagonista della mia vita, valore fondante delle mie giornate. Ricordo il periodo delle elementari, durante il quale le maestre ci imponevano di stare zitti, composti, con le braccia conserte e la schiena dritta, orecchie sempre aperte e mente sempre connessa e attiva. Parlare con il proprio compagno di banco sembrava essere un reato, si poteva scherzare solo quando la maestra riteneva fosse opportuno; sbagliare non era concesso, altrimenti si veniva umiliati. Rivedo, a tal proposito, il “cartellone degli errori” con i nostri nomi appesi e sento nuovamente la voce della maestra che mi chiede di far scorrere i fogli del mio testo davanti agli occhi di un mio compagno che non aveva fatto bene il tema e sento di nuovo un peso nel petto al ricordo dell’insegnante che costringe un mio compagno a dire tra le lacrime – Sono stupido! - di fronte a tutta la classe, perché aveva fatto troppi errori di ortografia. Diligenza: rispetto degli orari, delle scadenze, delle regole e dei voleri degli adulti, essere perfetti sempre e comunque. Parte della mia infanzia e della mia preadolescenza sono state dominate dal pensiero ossessivo di una maniacale eccellenza e perfezione. Da ciò derivava anche una profonda inquietudine che ho coltivato rispetto al giudizio degli altri. Mi sentivo intrappolata nell’immagine della ragazzina perfetta che mi ero creata, o meglio, che mi avevano fatto diventare. Per tutti ero una macchinetta senza difetti. Ho passato gli esami di terza media con ottimo, come tutti si aspettavano, ho ottenuto risultati nel mio sport e, dopo l’estate, era l’ora della prima superiore. Tutto era una novità, non conoscevo nulla di quel mondo, non avevo il controllo di ciò che sarebbe accaduto. Il mio futuro prossimo mi pareva una montagna invalicabile, insormontabile sulla quale non avevo alcun potere. Il terzo giorno di scuola, la sera, durante la cena, all’improvviso un ricordo del passato mi ha trafitto, presentandosi come un lampo, e di colpo mi si era bloccata la gola. Non riuscivo più a mangiare. Non riuscivo più a deglutire. Mi sono bloccata. Il fiato era divenuto corto. Mi girava la testa. - Cos’è successo? - All’improvviso ho iniziato a piangere, ma non capivo il perché. Il mattino seguente non riuscivo nemmeno a bere il latte. Avevo paura di essere diventata pazza, di dover essere ricoverata, di morire. Un semplice, banale pensiero mi aveva creato squilibrio per la prima volta dopo tanti anni. In una situazione di novità ho percepito il pericolo di poter essere debole, così che, con un nonnulla, il mondo mi è crollato addosso. Fino a quel momento non mi sarei mai perdonata un’imperfezione, ma da quella sera la mia imperfezione toccò l’apice. Come si può non essere capaci di deglutire? Non mangiando divenivo sempre più debole e le forze mi venivano a mancare.
Mi ci sono voluti cinque anni per ritornare a mangiare con serenità, cinque anni per un pensiero di un secondo. Quando il vaso trabocca si precipita nell’abisso: questo è ciò che mi è accaduto. Tuttavia, se quella goccia non avesse rotto la superficie non avrei superato dei traumi che non mi ero resa conto di avere e avrei continuato a vivere come una marionetta, muovendomi al comando degli altri.
Forse è vero che, ogni tanto, la pazzia serve per divenire noi stessi.
Iris
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