Il ritorno della luce
- La redazione
- 7 dic
- Tempo di lettura: 3 min
Sono passati due mesi da quando è iniziato tutto, o almeno da quanto ne sono consapevole perché sono sicura che qualcosa dentro di me si è spezzata molto più di due mesi fa, solo che non sono ancora riuscita a capire il momento preciso.
All’inizio pensi che sia solo stanchezza, che passerà, poi ti rendi conto che ogni giorno è una fatica, che sorridere è diventato un atto di coraggio che forse non sei più disposto a fare e che anche le cose più semplici - alzarsi, parlare, uscire di casa - sembrano montagne impossibili da scalare. A volte ti senti stanca anche solo ad esistere e pensi che non farlo sarebbe più facile, e nessuno se ne accorge, rispondi “tutto ok” perché è più facile così che provare a raccontare qualcosa che tu stessa non capisci fino in fondo. Quando mangiare o dormire non ti sembra più così tanto necessario, perché tanto non ne vale la pena.
La depressione, almeno per me, non è solo tristezza. È vuoto. È il silenzio che riempie la mente, la fatica di respirare senza un motivo apparente, la sensazione costante di essere fuori posto, anche quando sono circondata da persone che mi vogliono bene.
A diciassette anni dovrei sentirmi leggera, piena di possibilità.
Almeno è quello che dicono gli adulti, i professori, perfino i miei amici. Ma dentro di me è come se qualcuno avesse spento la luce. Mi sveglio la mattina e il mondo sembra uguale al giorno prima: grigio, distante, come se stessi guardando la mia vita attraverso un vetro spesso.
La cosa più difficile è spiegare cosa provo, mi sento colpevole per questo, come se stessi deludendo tutti. Ma la verità è che non scelgo di stare così.
Mi arrabbio con me stessa quando non riesco a fare le cose che facevo prima: studiare, uscire, ridere senza pensarci.
Però, in mezzo a tutto questo buio, ci sono piccoli momenti che mi fanno pensare che forse non è tutto perduto. Una professoressa che ti scrive e ti chiede davvero come stai. Un’amica che ti chiama senza aspettarsi niente in cambio. Un pomeriggio in cui riesci a respirare un po’, senza sentirti sbagliata. Questi sono i momenti a cui mi sto aggrappando.
Sto provando, sto seguendo una terapia, e forse, anche se non lo vedo, questo è già un modo di resistere.
Vorrei imparare ad avere pazienza con me stessa, quando ci sono giorni in cui mi odio perché non riesco a reagire. Vorrei, solo, un giorno poter dire che ce l’ho fatta. E magari guardare indietro e pensare: “Ecco, quella persona che soffriva ero io… ma non lo sono più.”
Ma la mente non ascolta la logica, ti trascina giù anche quando tutto intorno sembra tranquillo.
E se qualcuno che sta vivendo qualcosa di simile capitasse per caso tra queste parole, vorrei dirgli questo: anche se ora ti sembra impossibile, non sei solo. Non c’è niente di sbagliato in te. La depressione fa credere che non ci sia via d’uscita, credimi lo so, ma è una bugia che suona terribilmente convincente. Ci sono persone pronte ad ascoltarti, anche quando pensi di non meritare nessuno. Parlare con qualcuno - un amico, un adulto di cui ti fidi, uno psicologo - può cambiare più di quanto immagini.
Che sia chiaro, non sto dicendo che la luce torna tutta insieme: arriva a piccoli passi, a momenti. Ma arriva. E un giorno ti sorprenderai a respirare più facilmente, a sentire un po’ di calore dove prima c’era solo indifferenza. Non devi vincere tutto oggi. Devi solo resistere abbastanza per vedere che, anche se adesso sembra invisibile, una strada verso il meglio c’è. E tu meriti di percorrerla.
Chiara Miduri, 4CT





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