Da alcuni anni l’Istituto “Da Collo” partecipa ad un progetto di educazione alla legalità in collaborazione con l’associazione di volontariato “Granello di senape”, che opera all’interno della casa di reclusione di Padova. Il dipartimento di Diritto ed il dipartimento di I.R.C. ritengono che sia formativo per gli adolescenti conoscere una realtà distante dalla quotidianità e dalla ordinarietà; pertanto promuovono incontri tra gli alunni delle classi quinte e alcuni detenuti e volontari della redazione di “Ristretti Orizzonti”, la rivista curata dal carcere patavino. I temi affrontati sono profondi e di una certa delicatezza. Chi sta scontando una pena detentiva racconta la propria esperienza per far capire ai ragazzi quali siano le situazioni che possono portare a commettere un reato, quindi per cercare di prevenire gli illeciti e le relative conseguenze. Descrive, poi, la situazione che vive in cella ed espone le problematiche che attraversano l’esistenza di un condannato.
Quest’anno il progetto si è arricchito di una nuova significativa possibilità: far entrare fisicamente i ragazzi nell’istituto di reclusione. Dopo un colloquio ed un confronto in presenza a scuola con due mediatori penali, alcune classi si sono recate a Padova e hanno varcato una porta che sicuramente è di notevole impatto emotivo. Le misure di sicurezza, i controlli, le regole e le procedure, gli ordini impartiti dal personale della Polizia Penitenziaria hanno, fin dal primo momento, comunicato un senso di apprensione ed oppressione. Gli alti muri in grezzo cemento, i chilometrici corridoi grigi, i cortili silenziosi, il filo spinato; i rumori delle porte e dei cancelli che sbattono con irruenza, il ritmo dei passi e le pressanti raccomandazioni sono i segni evidenti della singolarità e della pesantezza della realtà in cui avevamo fatto irruzione.
Però… ascoltare storie di abbandono, di violenza, di sofferenza che poi evolvono in impegno di solidarietà, di responsabilità, di speranza è l’aspetto che fa comprendere la validità del progetto. E tocca il cuore, perché, oggi quanto mai, abbiamo bisogno di poter credere che un cambiamento è possibile, nonostante tutto.
Chiara Chies
Lunedì 10 febbraio noi, i nostri compagni della 5^A e gli alunni della 5^B e 5^C dell’Istituto Turistico siamo andati alla casa di reclusione di Padova, per proseguire il percorso iniziato due mesi fa con l’Associazione “Granello di Senape”, che coinvolge le scuole e i detenuti. Un’esperienza forte, senza dubbio; ma arricchente e sorprendente. Abbiamo conosciuto persone che stanno scontando una pena molto grave, ma che hanno deciso di dare un senso nuovo alle loro esistenze. Ad accoglierci al nostro arrivo, Ornella Favero: una donna davvero carismatica e dotata di una grandissima fiducia nel bene e nelle persone. Insieme a lei, alcuni detenuti che fanno parte della redazione della rivista "Ristretti Orizzonti”, che ci hanno raccontato le loro vicende, gli “errori” che li hanno portati nel luogo dove sono adesso. È stata un'esperienza molto intensa e toccante: in modo forte apre gli occhi a una realtà a cui solitamente ci si approccia solo dal punto di vista delle vittime, e non di quello dei carnefici. Dal racconto di quest'ultimi è emersa una riflessione sul sistema penitenziario, che troppo spesso è percepito come un luogo di punizione, piuttosto che come uno spazio di possibile trasformazione. Una volta scontata la pena, la maggior parte dei detenuti ricommette reati, se negli anni di reclusione non c’è stata la possibilità di essere seguiti da educatori o psicologi, se non ci sono le prospettive di un lavoro, se mancano affetti e relazioni significative. Infatti, tutti i condannati non vedono l'ora di passare tempo con la famiglia e i figli, che è una delle cose più importanti per loro; il desiderio di rivederli li aiuta ad andare avanti ed affrontare la realtà in cui si trovano. Sicuramente la situazione nelle carceri italiane dovrebbe essere migliorata: i condannati, indipendentemente dal crimine che hanno commesso, sono comunque esseri umani e meritano di essere trattati come tali. Convivere in celle fatiscenti, con due o tre carcerati laddove c’è spazio per una sola persona, senza acqua calda… non è certo rispettoso dei diritti fondamentali dell’uomo. Abbiamo sentito dire da uno di loro, rinchiuso nella sezione di massima sicurezza (il c.d.41 bis), che può chiamare i familiari solo due volte a settimana, e non tutti i giorni come gli altri, e lamentava il fatto che questo diritto è riconosciuto in tutti gli altri Stati europei. La pena, si sa, ha la funzione di punire per un male commesso e anche la funzione di deterrente, perché la previsione di vivere in condizioni negative dovrebbe distogliere le persone dal commettere i reati. Però, non bisogna dimenticare che l’articolo 27 della nostra Costituzione conferisce alle sanzioni penali anche una funzione rieducativa che è importante, ma che nella realtà raramente trova applicazione. Da questo punto di vista la casa di reclusione di Padova è un carcere diverso dagli altri in Italia. Colpisce sentir dire dai detenuti: “Siamo fortunati ad essere qui”! Nonostante sia sovraffollato e mancante di tanti servizi essenziali, tuttavia l’Istituto “Due Palazzi” può vantare una singolarità che fa davvero la differenza. Al suo interno i detenuti possono partecipare ad attività lavorative (come la pasticceria “Giotto”) o di volontariato (come la redazione della rivista “Ristretti Orizzonti”) o essere coinvolti in progetti con le scuole (come quello a cui abbiamo aderito noi). Ecco che il contatto ed il confronto con le altre persone, la scoperta che la propria esperienza può essere di aiuto ad altri, la vicinanza di persone sensibili e lungimiranti possono trasformare anche l’ergastolo in una nuova opportunità di vita. Le mura che solitamente limitano la libertà fisica si trasformano in spazi di pensiero e di espressione. I condannati, che per molti sono solo numeri, diventano voci, raccontano storie, condividono le proprie riflessioni e prospettive attraverso il giornalismo. Il progetto non solo consente loro di dare un volto umano alla propria esperienza, ma offre anche una possibilità di redenzione, di riscatto, di comunicazione. La percezione della reclusione cambia, diventando uno stimolo ad esplorare nuovi orizzonti, a ricercare una connessione con l’esterno e, magari, a fare qualcosa di buono per gli altri, in primis per i ragazzi.
Mentre parlavano con noi si percepiva una viva commozione. Non è facile narrare di sé a perfetti sconosciuti! E noi pure eravamo molto coinvolti emotivamente. Entrare in una casa di reclusione fa un certo effetto … All’uscita si comprende la vera distanza che c'è tra un carcerato e una persona qualunque. Nonostante questo, le persone con le quali abbiamo interagito hanno dimostrato il loro lato umano, toccandoci nel profondo e facendoci capire che si può veramente imparare riflettendo sui propri errori. “Qualche mese fa abbiamo incontrato Gino Cecchettin”: così ci hanno detto, condividendo con noi lo stupore nel sentirsi dire da quel padre, così grandemente provato: “Voi quali sogni avete?”
L'Istituto penitenziario di Padova ha il coraggio di credere nei detenuti, offrendo a loro varie possibilità di crescita. Per noi questo progetto è stata una bellissima esperienza che ci ha permesso di farci scoprire un’altra realtà, diversa dal solito… Un’opportunità di riflessione, che svela l’importanza delle piccole cose e della gravità di certi errori da non commettere. Un varcare la porta del pregiudizio e della diffidenza, per uscirne carichi di speranza. Persino lì ci può essere un cambiamento che ridona luce alla vita.
Lisa Favalessa, Miki Favaretto, Giada Ingenito, Camilla Nadai (5^AT)
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