L'ultimo giorno di scuola al Da Collo si è tenuta la premiazione del "Concorso Newstudents", interno all'istituto, una prova di scrittura sul tema del primo volo nello spazio, di cui quest'anno ricorre il sessantesimo anniversario.
Alla premiazione ha partecipato la giuria, composta dai proff Stefano Fasano e Leopoldo Pincin, docenti e poeti amatoriali, e dalle studentesse Chiara Mariani e Giulia Colombi; hanno presenziato inoltre il nostro dirigente, prof Vincenzo Gioffrè, e la professoressa Maria Serena, coordinatrice del progetto.
Al primo posto si è classificata la studentessa Valentina De Nadai, con il testo Riflessioni ad alta quota; al secondo posto Martina Lavina, col racconto Oltre la barriera dei miei occhi; al terzo posto Federica Miotto con Il marinaio stellare. Di tutte e tre riportiamo i testi: complimenti alle tre vincitrici!
Prima classificata: Valentina De Nadai
RIFLESSIONI AD ALTA QUOTA
Mi preparo per il decollo diretto alla terza dimensione, al di fuori dell’atmosfera dei corpi celesti e in un’esperienza pienamente sensoriale che mi coinvolgerà in tutto il mio essere.
Mi trovo seduto nella mia capsula e sono tutto un fremito, ancora non realizzo che tra qualche minuto oltrepasserò i limiti delle esperienze umane. Sono sull’ uscio di una porta chiusa a chiave che mi condurrà a una destinazione infinita e ignota: il cosmo. Il progresso nel campo dell’astronautica è la chiave che mi permette ora di essere qui, di essere il fortunato prescelto che sta per coronare quello che è il suo sogno fin da quando era bambino.
Saluto i miei cari e i miei compagni lì presenti, commossi nella speranza di vedermi ritornare vittorioso.
Finalmente decollo e vengo inserito in orbita. Sono solo nell’universo. Dal vetro dell’oblò della capsula riesco a vedere il mio pianeta, che appare piccolissimo. Ho l’onore di poter contemplare questo spettacolo in prima persona e non mi sento affatto un intruso. La Terra è avvolta da striature di un manto bianco che si estende su fiumi, oceani, mari e sulle terre abitate. Distinguo appena i percorsi che intraprendono i fiumi mentre vedo chiaramente i dislivelli del terreno, che sembrano così vicini e tangibili, tanto che mi sembra di poterli toccare allungando le braccia, ma allo stesso tempo così fuori dalla mia portata. È un condensarsi e un mescolarsi di blu, bianco, marrone e verde. Il blu prevale senza dubbio e la Terra sembra in effetti uno zaffiro di inestimabile valore. Noto alcune delle più imponenti catene montuose come le Ande in sud America, i monti Urali, che delineano il confine naturale tra Asia e Europa, e quelle dell’Atlante in Africa settentrionale. Ma sono gli oceani che catturano di più la mia attenzione: immagino un me del futuro che nuota tra le loro onde e ripensa a quella volta in cui vide quella distesa di acqua salata da una prospettiva totalmente diversa e lontana, lontanissima, addirittura extra-atmosferica. Mi riprometto di visitare, prima di morire, almeno qualcuno di quei luoghi sotto ai miei occhi, con la preliminare certezza che non ne sarei rimasto deluso.
Davanti a questo scenario mozzafiato mi rendo conto ora più che mai di quanto siamo, noi uomini, piccoli e insignificanti in confronto alla natura e allo spazio che generosamente ci ospita da centinaia di migliaia di anni. Al solo pensiero mi sento onorato, ma allo stesso tempo colpevole anche per conto dei miei simili giù in terra, giacché non capita di rado che il mondo che ci circonda sia, per colpa nostra, danneggiato, in seguito a comportamenti irresponsabili. I versamenti di petrolio nelle acque, l’eliminazione delle aree verdi riservate alla natura in favore delle sempre più inquinate città, il poco rispetto per le regole dell’ecosistema, sono solo alcuni degli scempi che mi sovvengono e che in futuro potrebbero avere conseguenze irreversibili. Non sono mai stato tanto attaccato alla vita, a quella del mio mondo.
Poco fa ho scritto che sono solo: mi sia concesso di emendarmi. Mi trovo in compagnia di miliardi di stelle, dei pianeti, del sole, della luna e chissà di quanti altri corpi celesti ancora non identificati e lontani anni luce.
Il mio viaggio continua. Chi diceva che il mondo è piccolo aveva torto, si potrebbe passare la vita intera in pellegrinaggio come cosmopoliti, eppure anche cento anni non sarebbero sufficienti ad osservare e soprattutto a concepire le meraviglie di ogni luogo. Se il mondo non è piccolo, figuriamoci l’universo! Rifletto sul fatto che spesso capita di sentirsi soli, ma sono sicuro che se tutte le persone che hanno in cuore questa sensazione potessero essere a bordo di questa capsula capirebbero che è impossibile sentirsi soli davanti a questo fulgore, a questa intermittenza di luci colorate, a questa epifania di astri che si riuniscono a formare le costellazioni. Tutto è in movimento, le stelle sembrano uno sciame di formiche in attività. Ora, tu, uomo che senti di soffrire di solitudine, apri la finestra una notte, alza lo sguardo verso il cielo e guarda le stelle. Riesci a immaginare che quei piccoli puntini nascono, crescono, muoiono proprio come noi esseri umani? Sapevi che quando muoiono sono chiamate supernove? Sapevi che una stella in procinto di morire può brillare quanto un’intera galassia? Ecco. Ti basti questo a comprendere che, più vicino di quanto pensi, c’è una luce che ti osserva, ti guida e ti insegna la lezione che proprio quando pensi che tutto sia perduto è il momento in cui brilli di più. Per te ciò forse avverrà inconsapevolmente, ma sarà ben evidente a chi ti sta attorno.
Penso di non essere più la stessa persona che ero prima di decollare, sono più completo e consapevole. Come farò, quando atterrerò sulla Terra, a spiegare fedelmente a parole ciò che ho vissuto qui, che reputo poco meno che ineffabile?
Seconda classificata: Martina lavina
OLTRE LA BARRIERA DEI MIEI OCCHI
L’uomo e lo spazio. Apparentemente due mondi diversi ma incredibilmente simili, magnifici e allo stesso tempo oscuri e imprevedibili.
Due enormi potenze, proprio come l’Urss e gli USA, tanto grandi quanto aggressive, durante il periodo della guerra fredda. Un’ Europa divisa sotto molti aspetti e il resto del mondo sospeso, fermo a guardare.
Il 12 aprile 1961 un barlume di luce: l’opportunità di un nuovo inizio, la voglia di concepire il mondo in modo diverso e la realizzazione di un progetto utopistico.
Yuri Gagarin è il primo uomo al mondo a conquistare lo spazio. 108 minuti. 6.480 secondi. Milioni di persone incollate alla televisione per assistere a uno dei momenti cruciali dell’esistenza dell’uomo.
“Vedo la Terra…è magnifica!”. Queste le prime parole del pioniere russo. A 60 anni dalla prima missione, ricordiamo la straordinarietà di questo evento, che ha suscitato nell’uomo molte riflessioni e desideri.
Ad oggi, come sarebbe poter essere al posto di Yuri, vedere per la prima volta la terra dall’alto ed essere la prima persona a viaggiare nello spazio?
Cuore a mille. Conto alla rovescia. Dieci, nove, otto… tre, due, uno, zero. I motori si accendono, la navicella si stacca da terra. Un metro, dieci metri, centro metri… sempre più lontana da terra. I sedili che tremano, l’accelerazione che mi comprime e il timore di non farcela. Minuto dopo minuto, strato dopo strato dell’atmosfera, a una velocità impensabile, mi sento sempre più vicina alla meta. Controllo i pannelli, premo qualche tasto abbasso qualche leva anche se con mani tremanti. La paura di sbagliare, anche solo per un piccolo errore, mi fa venire i brividi.
Non posso perdere la concentrazione, non ora. Manca poco, gli ultimi sforzi e sarò in orbita. Gli ultimi secondi e… i motori iniziano a spegnersi, sento dall’auricolare gli applausi della mia squadra a terra. Sgancio la cintura ancora con mani tremanti e rimango sbalordita dalla leggerezza che mi sento addosso. Fluttuo, mi muovo lentamente e mi avvicino all’oblò per vedere lo spettacolo con i miei stessi occhi.
Il mio cuore manca di un battito ed incredibilmente mi sento così piccola e impotente. Una lacrima mi riga la guancia e la luce mi fa brillare gli occhi lucidi. Guardo la terra e i miei pensieri iniziano a vagare, si perdono nell’immenso infinito.
Penso alla mia famiglia, che da casa avrà seguito tutto il mio viaggio ed è orgogliosa di me. Una casa che mi sembrava così grande quasi da perdersi, ma che alla fine si è rivelata essere piccolissima vista da qua. Una nazione intera che mi guarda, gli occhi del mondo puntati addosso.
Ed è da qui, guardando da questo oblò, che mi rendo conto di poter essere un esempio per tutte le donne. Ho raggiunto il mio obbiettivo, per il quale ho lavorato sodo. Mi sento considerata e rispettata: penso alle migliaia di donne che vengono umiliate e maltrattate e spero di dar loro la forza di riscattarsi come ho fatto io.
Penso alle occasioni mancate della vita: un treno perso, un’opportunità sprecata, una delusione… tante piccole cose che viste da quassù passano in secondo piano, perdono di valore. Penso all’uomo come parte infinitesimale di questo sistema e di quanto poco conti nella vita essere il migliore e prevaricare sugli altri.
Giro di poco la testa e la prospettiva cambia. Quello che sembrava sotto di me essere un pianeta grande e straordinario è ben poca cosa rispetto all’immensità dell’universo. Buio, infinito e allo stesso tempo luminoso. Guardo davanti a me e non riesco a vedere l’orizzonte, non c’è una fine. Mi sono limitata a guardare la terra, quando al di là dai miei occhi c’era ben altro.
Ciò che vedo per l’uomo è un futuro migliore. Nuovi mondi da scoprire e altre forme di vita con cui entrare in contatto. Una possibilità di riscattarsi e non commettere gli errori del passato. E’ nell’universo che la vita si è creata ed è in quel “nulla” incommensurato, su cui l’uomo continua a interrogarsi, che continuerà a cercare un posto migliore, per sé e per i suoi figli.
L’uomo abbatterà tutti i limiti, guarderà al di là di quello che già ha appreso e non si darà per vinto finché non sarà arrivato alla fine di questo immenso universo.
Ormai il mio tempo in orbita è quasi finito, sto per tornare a terra. Piano piano i miei pensieri si perdono nello spazio di cui faranno parte per sempre. Torno alla mia postazione, prendo un lungo respiro e sono pronta a ritornare a casa.
Ad oggi i miei occhi sono il prolungamento di quello che Yuri Gagarin ha visto nel lontano 12 aprile 1961… qualcun altro un giorno sposterà più in là la linea dell’orizzonte.
Terza classificata: Federica Miotto
IL MARINAIO STELLARE
Eccola lì, splendente come non mai.
Pallida come il velo di una sposa, luminosa come la neve in una notte limpida.
Posso contare tutte le sue imperfezioni ad occhio nudo, posso vedere le increspature che si formano sulla sua superficie polverosa. Posso distinguere chiaramente i mari, punti in cui sembra che la Luna sia stata cancellata dalla mano inesperta di un bambino e i crateri, simili a spennellate di un pennello senza colore.
Posso scorgere quei particolari che solo un telescopio riuscirebbe a notare.
Mi avvicino alla meta e, mentre lo faccio, immagini del mio passato si riversano nella mia mente come un fiume in piena.
Desidero questo momento da quando da giovane passavo le notti in una vecchia soffitta polverosa a contemplare il cielo, sognando di toccarlo.
Sto per atterrare, sto per compiere la missione alla quale ho dedicato tutta la vita… ed eccolo finalmente; il rumore dei motori che si affievoliscono fino a spegnersi e del materiale metallico a contatto con la superficie lunare.
Tutt’intorno a me rimbomba un suono ovattato, un boato silenziosamente assordante: assomiglia molto al suono che fanno le bombe quando cadono vicine al bunker in cui ti nascondi.
Sono le brusche parole del comandante a farmi tornare alla realtà, a ricordarmi che porto sulle spalle un peso grande quanto tutta l’umanità, e per un po’ metto da parte quel sogno infantile in cui mi ero perso poco prima.
Mi avvicino allo sportello e questo dopo un bip automatico si sblocca, mostrandomi centimetro dopo centimetro il paesaggio surreale che mi si presenta davanti agli occhi, ora più increduli che mai. Non resisto e annego in un altro ricordo del me bambino, di quando per cercare un pallone mi avventurai nel bosco e trovai il panorama più bello mai visto: un lago cristallino che specchiava una corona di fronde colorate per via dei fiori che contrastavano nettamente con l’azzurro brillante del cielo in quel giorno di primavera inoltrata. Rimasi in silenzio a contemplarlo, come se solo la mia voce potesse essere fuori luogo, potesse contaminare quell’incanto.
Non avrei mai pensato di provare le stesse sensazioni in un posto così lontano dalla Terra. Eppure in questo momento mi sento di nuovo quel bambino che scopre per la prima volta qualcosa di magnifico e proibito.
L’ordine del comandante torna a farsi sentire forte e chiaro, per la prima volta nella storia dell’umanità l’uomo cammina sulla Luna.
È una sensazione surreale. Non ho mai pensato a come fosse camminare sulle nuvole, ma me lo immagino così. Compio due passi e di nuovo il tempo si ferma, le lancette smettono di girare, i secondi, i minuti non esistono più. Mi manca in respiro anche se inalo ossigeno. Mi sento tremare anche se non porto più il peso del corpo su di me. Ascolto il silenzio, la voce del comandante e del mondo intero viene spazzata via, come un filo di vento spegne un grande incendio. Sento il cuore che perde dei battiti e poi li riacquista velocemente, come a volerli riavere indietro per forza, a costo di farmi esplodere il petto.
Tutto accade così velocemente che quasi ne ho paura, io che non ne ho mai conosciuto il significato. Rimango solo io, io e le stelle in cielo.
Con un riflesso naturale mi giro su me stesso, rivolgendo lo sguardo alla navicella ma… provo una sensazione strana, come quando il cielo improvvisamente si fa cupo e nuvoloso. Qualcosa non va. Chiamo il comandante al walkie talkie, ma basta un secondo per rendermi conto che non distinguo la sua voce. Urlo il suo nome più forte, ma non può sentirmi, o forse sì, non lo so.
E di nuovo rimango solo, in un mare oscuro. Ma ora ne ho paura.
Mi ritrovo a vagare in un immenso deserto bianco, dentro l’abisso più nero.
I miei passi si fanno pesanti, le gambe di piombo, ma nonostante questo non si fermano. Continuano ad andare avanti, come per inerzia verso una meta sconosciuta. Gli occhi si appannano e tutto diventa un confuso gioco di luci e ombre, finché la visuale si oscura, le pupille si dilatano e il gelo si insinua sotto la tuta, tra i vestiti fin dentro le ossa.
È il volto buio della Luna, la faccia nascosta.
Mi guardo attorno, ancora non distinguo dove metto i piedi. Mi sforzo di vedere meglio, per provare a capire in quale punto della Luna mi trovo, vicino a quale cratere. Io, che ho studiato il satellite della Terra, che ne so più di chiunque altro, ora mi ritrovo a cercare un appiglio laddove credo di conoscere il noto… in quel momento lo capisco, ed è come una secchiata d’acqua gelida.
Non è più il noto che devo cercare, non devo più combattere la situazione in cui mi trovo.
Smetto di cercare l’introvabile e inizio a perdermi per trovarlo.
Alzo gli occhi al cielo e non ho più paura. Il buio c’è ancora, ma innumerevoli stelle brillano in cielo come lucciole che si rincorrono nelle serate d’estate. Milioni di pianeti illuminano l’oscurità come fari nella notte. E io, come il marinaio che per la prima volta si immerge in acque sconosciute, mi sento a casa.
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