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La redazione

Carcere e scuole: un progetto che abbassa i muri e costruisce ponti

Siamo entrati in Aula Magna, giovedì 7 marzo, con tante domande e una buona dose di curiosità. Siamo ritornati nelle nostre classi, due ore dopo, con soddisfacenti risposte, ma... con nuovi e più grandi interrogativi, ai quali chissà se riusciremo mai a trovare una risposta. 

L’incontro con alcuni detenuti dell’Istituto di reclusione “Due Palazzi” di Padova ha lasciato in noi un segno profondo. Innanzitutto, ci ha aperto gli occhi su una realtà molto diversa dalla nostra. Spesso, quando sentiamo o pronunciamo il termine “detenuto”, tendiamo ad esprimere tutti i nostri pregiudizi, figli del pensiero diffuso all’interno della società. Dialogare con loro ci ha permesso di ampliare quella che era la nostra visione, non solo per quanto riguarda il sistema carcerario, ma anche nei confronti dei detenuti che ne fanno parte. Abbiamo compreso meglio che dietro ai crimini ci sono delle persone con delle storie, ognuna diversa dall’altra; è giusto vedere ogni persona come un essere umano, non come il reato che ha commesso. Questo confronto è riuscito a condizionare il nostro modo di pensare: ci ha fatto andare oltre i pregiudizi e ci ha messo nelle condizioni di voler capire le persone che avevamo di fronte. Si tratta di uomini che stanno scontando pene importanti; anche per questo, ci ha commosso il fatto che abbiano avuto il coraggio di confidarsi con dei perfetti sconosciuti come noi!  

Ci hanno raccontato le loro storie e spiegato la loro situazione: questo ci ha toccato molto, soprattutto perché hanno parlato anche del loro rapporto con i famigliari, i figli in particolare. Nel descriverci la realtà del carcere, hanno portato più volte l'attenzione sulla gestione dei colloqui con le famiglie, considerati troppo ridotti, in quanto alcuni hanno la possibilità di fare un incontro alla settimana e una telefonata al giorno, mentre chi è condannato a regimi più rigidi ha solo una chiamata al mese. Ciò non permette ai detenuti di mantenere rapporti dignitosi con le famiglie e forse questo è ciò di cui soffrono di più. 


Un aspetto che abbiamo colto, e che prima non percepivamo, è che i famigliari di un detenuto sono vittime tanto quanto le vittime del reato commesso. Uno di loro ci ha confidato che sua figlia, solamente per aver un piccolo contatto con il padre, un abbraccio, una coccola, durante i colloqui provava a scavalcare la vetrata che li separava. Alcuni di loro a causa degli errori commessi hanno dovuto abbandonare lavoro, affetti, insomma la vita di prima, altri addirittura hanno perso tutto quello che avevano fuori dal carcere.  

Un altro aspetto interessante che hanno trattato, e che ha aperto in noi una voragine di interrogativi, è il fatto che nessuno dei detenuti riesca a spiegarsi come abbiano potuto arrivare a compiere certi reati. Proprio per questa ragione uno dei carcerati ha affermato di aver passato molto tempo, nei primi mesi di detenzione, a leggere libri di psicologia per tentare di comprendere la complessità della mente umana e come lui stesso fosse arrivato a compiere un omicidio, perché non capiva cosa fosse scattato nella sua testa, nonostante sapesse che alla fine ognuno è responsabile delle scelte che compie. Questo è forse il tema più difficile da affrontare: cosa spinge una persona a fare del male? Sembra che nessuno abbia la risposta. Loro stessi hanno detto di aver avuto una buona famiglia, di esser stati educati a dei valori, di non aver mai avuto problemi particolari... Eppure... 

Resta una cosa che non riusciamo a comprendere: come mai non riesci a fermarti prima di compiere un gesto tragico che comprometterà tutta la vita, pur sapendo che a casa hai una famiglia, dei figli piccoli, una vita da costruire? Purtroppo, la mente umana è un mistero, non sai dove ti può portare e soprattutto cosa ti farà fare.  

Un altro tema emerso è quello del pentimento e del perdono. Ci ha fatto riflettere sentire che alcuni condannati si siano resi conto dopo molto tempo del dolore che avevano causato, non solo alle vittime dirette, ma anche a quelle indirette, ovvero i propri familiari. 

Pensare agli altri, alla sofferenza che provano non è stato automatico e immediato, ci hanno detto. In carcere non sempre è possibile fare dei percorsi che aiutino a crescere, a rendersi conto della negatività della propria condotta. Il “Due Palazzi” di Padova è davvero una realtà privilegiata da questo punto di vista! Il progetto con le scuole, le attività di lavoro, la redazione della rivista “Ristretti Orizzonti”, la "Pasticceria Giotto" ci sono stati presentati come opportunità per creare dei rapporti con gli altri, per dare un risvolto positivo al male fatto, per prepararsi ad integrarsi nella società una volta usciti. Speriamo che il loro percorso rieducativo (che per qualcuno è già a buon punto) si concluda al meglio! 

Questo incontro ci ha sicuramente insegnato molto sulla complessità della vita umana, sulle sfide che molte persone affrontano e sulle conseguenze delle scelte sbagliate. È stata un'opportunità per riconoscere il valore di ogni individuo, nonostante gli errori commessi, e per riflettere sull'importanza della redenzione e della “seconda possibilità”. 

 

 

Zakaria Adouhane, Aurora Breda, Nicole Buttignol, Leonardo Dal Cortivo, Noemi De Vecchi, Nada Hassani, Wanda Lupelli, Iris Pelivani, Stella Turquois e Marianna Zanette (5BT) 

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