Il 9 ottobre di quest’anno ricorreva il sessantesimo anniversario della tragedia del Vajont.
Un evento drammatico che ha scosso e continua a scuotere le coscienze di noi italiani. La frana del monte Toc, con l’esondazione dell’acqua contenuta nella diga, resta uno dei fatti più vergognosi e raccapriccianti della nostra storia.
In questo periodo, durante le ore di educazione civica, i nostri insegnanti ci hanno proposto filmati, letture di articoli, riflessioni sull’accaduto. Però il momento più toccante è stato l’incontro con il sig. Lino Chies.
Alpino di Ogliano, ora ottantunenne, in quei giorni dell’ottobre 1963 aveva 21 anni e stava svolgendo l’anno di servizio militare obbligatorio quando si è trovato coinvolto nel dramma di Longarone.
Giovedì 7 dicembre è stato nostro ospite a scuola e ci ha raccontato cosa è successo quella sera; in Aula Magna eravamo presenti noi di 2^AT e le classi 1^AT, 2^BT, 4^AT e 5^AT.
Alle 23 circa, mentre in caserma lui ed i suoi commilitoni si stavano preparando al riposo, è stato dato l’allarme e tutti sono stati catapultati in una realtà spettrale, difficile anche solo da immaginare. Pensavano si trattasse di un attentato: mai avrebbero pensato a quello che in realtà era successo.
Longarone, completamente al buio, si presentava alle fievoli luci delle torce come un’immensa distesa di fango e macerie. Delle sue costruzioni e dei suoi abitanti non restavano che i ricordi.
Il giovane Lino ha scavato nel fango per giorni, riportando alla luce cadaveri scomposti e per la maggior parte irriconoscibili. Ha accolto i parenti delle vittime, rientrati in Italia da Paesi esteri per riconoscere i corpi dei loro cari.
L’esperienza scioccante lo ha segnato. Ancora oggi soffre di incubi e solo recentemente ha trovato la forza di ritornare in quei luoghi. Ogni anno, il 9 ottobre, si reca a Longarone per partecipare alla Messa e poi fa rientro a casa. Non è ancora riuscito ad affrontare la visione del cimitero.
Al sig. Lino, che è stato intervistato da Bruno Vespa e invitato a diverse trasmissioni televisive, abbiamo chiesto perché dedica il suo tempo a parlare della sua esperienza e in particolare con noi ragazzi, considerando anche il fatto che ricordare e raccontare gli provoca tanta sofferenza.
Ci ha risposto che sente la responsabilità di educare alla sicurezza, perché è importante che ognuno capisca che le sue azioni e le sue scelte hanno delle conseguenze sulla vita degli altri. A volte queste conseguenze sono drammatiche ed irreversibili.
Parlarne non può cambiare il passato, ma può aiutare a cambiare il futuro. Bisogna saper imparare dagli errori già commessi, in modo da non ricommetterli.
Questa tragedia si poteva evitare! Purtroppo, a volte, gli interessi economici ed i giochi di potere sono più importanti della vita umana.
I ragazzi di 2^AT e la prof.ssa Chiara Chies
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