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  • La redazione

2024: auguri non scontati

Abbiamo da pochi giorni in-augurato un nuovo anno, scambiandoci auguri. Quante volte abbiamo pronunciato questa parola nelle ultime settimane!!! Vorrei giocare un attimo su questo termine. La sua storia è lunga: le sue origini risalgono all’età romana. Gli àuguri erano dei “sacerdoti” che, osservando il volo degli uccelli, interpretavano il volere degli dèi e ricavavano presagi per il futuro. L’etimologia contiene proprio la parola “avis”, cioè volatili. Durante l’Augurio, una vera e propria cerimonia, veniva fatta la predizione di come si sarebbero svolti gli eventi. 

Noi come usiamo questa parola? Credo che, rivolgendo a qualcuno gli auguri, esprimiamo il nostro desiderio che accada il bene. Non tanto un presagio in sé, che sarebbe infondato; bensì un proprio impegno a far sì che il tempo di quella persona sia buono. Cioè, come dire: ti assicuro che, da parte mia, farò di tutto per rendere bello il tuo futuro. 

Il 31 dicembre scorso, il Presidente della Repubblica ha rivolto a tutti i concittadini il suo messaggio di auguri per il nuovo anno. Sono stati degli auguri molto particolari, perché il Capo dello Stato ha fatto un lungo elenco di problemi che ci riguardano più o meno da vicino, e li ha analizzati. Si è soffermato su tutte le manifestazioni di violenza che abbiamo visto animare il nostro recente passato. Le guerre; i femminicidi; la mancanza di sicurezza nei luoghi di lavoro; le ingiustizie sociali; i diritti negati. E poi ha richiamato l’importanza dell’impegno di tutti, per migliorare la situazione. 

Mentre seguivo le sue parole, pensavo: ma cosa ci proporrà, adesso, come strumento per realizzare questo obiettivo? 

Interessante! Ha fatto riferimento alla cultura. Alla mentalità. 

“La guerra non nasce da sola. […] Nasce da quel che c’è nell’animo degli uomini. Dalla mentalità che si coltiva. Dagli atteggiamenti di violenza, di sopraffazione, che si manifestano. È indispensabile fare spazio alla cultura della pace. Alla mentalità di pace”. 

La cultura! Ha richiamato proprio la cultura. E siccome mi trovavo ad indagare su questo aspetto da un po’ di tempo, mi sono particolarmente stupita. Come mai, quando Filippo ha commesso l’ennesimo femminicidio, tutti hanno incolpato la cultura maschilista e la mentalità patriarcale? Perché il Ministro ha immediatamente proposto di introdurre l’educazione all’affettività nelle scuole? 

Che cos’è la cultura? Dove sta la sua forza?  

A me sembra che la cultura sia la “Cenerentola” del nostro mondo. Intendo dire che mi pare che non sia presa tanto in considerazione; che resti, generalmente, ai margini delle scelte (anche quelle economiche). Per la cultura si investe poco, a tutti i livelli. Eppure, adesso la si invoca. Perché?  

Riporto un altro passaggio del discorso del Presidente: 

“L’unità della Repubblica è un modo di essere, di intendere la comunità nazionale. Uno stato d’animo; un atteggiamento che accomuna, perché si riconosce nei valori fondanti della nostra civiltà: solidarietà, libertà, uguaglianza, giustizia, pace. I valori che la Costituzione pone a base della nostra convivenza. E che appartengono all’identità stessa dell’Italia”. 

Lo stesso concetto ribadito nuovamente. Con più precisione e con il richiamo alla nostra Carta costituzionale. Però, mi fa rabbrividire una constatazione. 

Era il 19 dicembre scorso quando i notiziari in prima serata davano l’annuncio: la Corte d’Assise di Reggio Emilia condannava all’ergastolo il padre e la madre di Saman Abbas. La ricordiamo tutti: la ragazza diciottenne, di origini pachistane, residente a Novellara, uccisa nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio 2021, perché si era opposta ad un matrimonio combinato dalla famiglia. Tutto in ossequio alle tradizioni. Le intercettazioni telefoniche, disposte durante le indagini, hanno restituito una verità terrificante. Lo zio ha pronunciato questa frase: “È una questione di onore. Questa è la nostra cultura”. Il triste destino di Saman non rappresenta un caso isolato, non è una fattispecie di reato maturato in una famiglia dalle abitudini criminali. Qualche giorno fa, 26 dicembre. A Novellara una ragazza di origini pachistane denuncia i genitori: “Se non ti sposi fai la fine di Saman”. Stesso contesto, stesso scenario. Solo che, per fortuna, in questo caso si è riusciti ad intervenire in tempo. La giovane minacciata è stata trasferita in una struttura protetta, ma quanto accaduto dimostra che non è stato un “incidente” quello di Saman. Per una parte degli esseri umani che abitano sul nostro pianeta questa è la “cultura”. 

Come è possibile? 

Allora, qual è la cultura che ci salva dalla violenza? 

Può esistere una sola cultura, una cultura giusta? 

A questo punto bisogna che la risposta sia sì. Soprattutto, bisogna che questa cultura venga individuata, a chiare linee. 

La nostra cultura ora si indigna di fronte a fatti come quelli che ho citato, ma è la nostra cultura di “oggi”. Ricordo che solo con la legge 442 del 5 agosto 1981 venne espunta dal nostro ordinamento la fattispecie del delitto d’onore: cioè, l’assassinio di donne che avevano commesso adulterio, di neonati figli di relazioni extra-coniugali, di membri di una famiglia di cui avevano macchiato la reputazione.  

Come siamo arrivati alla nostra attuale cultura, quella che vorremmo difendere e che dobbiamo riscoprire? 

Chi fa la cultura? Chi la impone? La legge dello Stato, la legge della religione, la legge del buon senso? 

Vi lascio con questo interrogativo, sperando di stimolare riflessioni e ricevere risposte. 

Credo che sia uno snodo cruciale, un’altra riflessione, questione o considerazione che, partendo da una parola, passando per le aule di tribunale, finisce, inevitabilmente, nelle aule di scuola! 

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